La tomba Bernardini di Palestrina
(Franco Arietti)
La recente presentazione della tomba principesca del Vivaro di Rocca di Papa ed il grande interesse sollevato tra i nostri affezionati lettori (in poco tempo è stata letta da oltre 7000 persone) ci obbliga a fare un ulteriore sforzo: presentare un altro straordinario complesso ad essa collegato di età orientalizzante: la tomba Bernardini di Palestrina.
Le due tombe, che provengono da zone limitrofe, non sono coeve. Quella del Vivaro, più antica, si data ancora all’VIII secolo (attorno al 725 a.C.); la Bernardini è invece più recente, poiché si data attorno all’inizio del II quarto del VII secolo (675 a.C.).
La differenza tra i due complessi è enorme: l’esplosione di ricchezza della Bernardini contrasta con la sobrietà dell’altra più antica. La stessa differenza la si osserva anche negli altri sepolcreti laziali, tra le tombe dell’orientalizzante antico e medio.
La scoperta
La tomba fu scoperta nel 1876 nel corso di scavi privati, finanziati dai fratelli Bernardini. Gli oggetti furono acquistati nello stesso anno dallo Stato italiano per 70.000 lire.
Le notizie intorno al tipo di tomba sono assai confuse e per lungo tempo hanno creato accese discussioni tra gli studiosi. Fortunatamente le testimonianze degli scavatori furono raccolte da W. Helbig il giorno dopo la fine dei lavori. Egli fornisce quindi due tipi di indicazioni fondamentali: quella relativa alla struttura e l’altra, assai importante, relativa alla distribuzione degli oggetti di corredo secondo le testimonianze degli scavatori, della quale fornisce una planimetria schematica (Fig. 1).
La pianta di W. Helbig
(Fig. 1)
La tomba, rettangolare, misurava m. 5.45 ai lati lunghi e a quelli corti m. 3.80/3.92; un muro a blocchi di varie dimensioni (uno di questi misurava in altezza m. 0.90) recintava la fossa, fino ad un’altezza di m. 1.70 (ma probabilmente doveva essere leggermente più alta).
Gli scavatori riferirono che la tomba era completamente riempita di blocchi informi di calcare e tufo fin dal piano di campagna, e che quei grandi blocchi furono rinvenuti fin sopra e a diretto contatto con gli oggetti di corredo.
La pianta di Helbig è stata ingiustamente criticata in passato a causa, si disse, delle numerose incongruenze riportate che nell’insieme connotavano una struttura incomprensibile e contraddittoria. A cominciare dall’”incavo”, l’ipotetica “fossa” lunga circa due metri che secondo gli scavatori doveva contenere il defunto ricoperto da numerosi oggetti personali d’oro, stranamente posta tra l’altro in posizione eccentrica presso il lato meridionale. In realtà, in quest’area del corpo venne trovato solo il frammento della falange di un dito; a detta degli scavatori altre ossa nelle vicinanze vennero gettate via.
Recentemente ho chiarito che in realtà non poteva esistere alcun “incavo”, dal momento che una ipotetica fossa scavata in origine sul fondo della grande tomba, nello strato argilloso tipico della zona, una volta riempita della stessa argilla e perfettamente ricompattata a distanza di secoli, sarebbe stata impossibile da identificare e tanto meno da delimitare per chiunque. Semplicemente, i famosi oggetti preziosi del corredo personale del defunto vennero raccolti ad un livello più basso (il vero fondo della tomba) rispetto all’area della deposizione del defunto e ad altri oggetti nelle vicinanze, evidentemente tutti poggianti sulle banchine laterali sopraelevate (per tutte queste notizie, vedi: F. Arietti, B. Martellotta, La tomba principesca del Vivaro di Rocca di Papa, 1998, p. 104 ss. nota 13).
La tomba Bernardini venne quindi scavata in un’area che presentava una profonda stratificazione argillosa di qualche metro, tipica della necropoli della Colombella e della zona. Ciò spiega l’impiego del possente muro perimetrale costituito da grandi blocchi, costruito sia per sorreggere la struttura lignea disposta orizzontalmente che ricopriva il soffitto della camera, che per delimitare e recintare lo spazio interno (Fig. 2, B). Tombe a pseudo-camera di questo tipo sono ora note in altre parti del Lazio antico (soprattutto alla Laurentina Acqua Acetosa). Normalmente, il tumulo che ricopriva queste tombe è costituito da grossi blocchi informi di tufo o pietra (come a Palestrina) che in origine poggiavano sul palancato, a sua volta retto da pilastri collegati tra loro da tronchi orizzontali. Tutto questo era certamente voluto e previsto allo scopo di proteggere queste stanze ipogee prestigiose; dopo molti anni, con il crollo del palancato ligneo, il potente strato del tumulo crollava all’interno della stanza sigillando definitivamente in tal modo il sepolcro (Fig. 2, A).
(Fig. 2) Pianta. Rappresentazione schematica.
L’organizzazione dello spazio interno
La presenza delle armi presso la parete meridionale (spade e lance), ubicate più o meno nella zona centrale, sembra essere in accordo a quanto registrato in altre tombe prestigiose laziali nelle quali le armi si trovano sempre lungo il corpo (le spade) o a fianco del defunto, solitamente sulla destra (le lance): a completare il gruppo delle armi, sempre nell’area a ridosso della parete meridionale, nei pressi del defunto, vennero rinvenuti tre (?) scudi. Anche la presenza, del tutto isolata dal resto del corredo posto sulla banchina opposta, della kotyle d’oro in quell’area – uno degli oggetti più prestigiosi della tomba – trova analogie in ambito laziale, sempre in sepolture di altissimo rango, come la tomba 15 di Castel di Decima o la tomba principesca del Vivaro di Rocca di Papa; in entrambi i casi i defunti recavano in mano preziosi vasi potori (lo skyphos d’argento a Decima e la coppa emisferica d’argento al Vivaro).
Questi elementi suggeriscono per la struttura della tomba Bernardini una fattura analoga a quella delle altre tombe aristocratiche laziali, ovvero una pseudo camera con una o più banchine disposte lungo i lati. Nella tomba Bernardini le banchine dovrebbero essere state due, disposte a L: lungo il lato meridionale, quella con il defunto, presso il lato occidentale quella con la maggior parte del preziosissimo vasellame ed altri oggetti che nell’insieme costituiscono il corredo di accompagno (Fig. 3). La metà settentrionale della tomba era verosimilmente occupata dal carro, mentre il grande calderone di bronzo su sostegno era ubicato nella parte orientale. Lo spazio centrale, il fondo della tomba, di norma più basso rispetto alle banchine, ha generato l’idea errata dell’incavo, la presunta fossa di sepoltura. In questa zona vennero rinvenuti tutti gli oggetti personali del defunto. Il loro numero esuberante lascia intendere che non potevano essere indossati tutti assieme. L’ipotesi che una parte di essi adornasse vari abiti disposti su mobili poggianti sul fondo della fossa a lato della banchina del defunto sembra la più probabile.
(Fig. 3) Interno della Tomba Bernardini. Rappresentazione schematica e del tutto indicativa. In primo piano il defunto, disteso sulla banchina meridionale, con la kotyle d’oro in mano in segno di offerente. Di norma, le deposizioni maschili laziali sono molto sobrie per quanto riguarda il numero degli oggetti personali indossati dai defunti, il cui status è largamente connotato invece dalla presenza delle armi. E’ probabile che il corpo fosse avvolto in un sudario i cui lembi erano fermati dalle cinque fibule d’argento e oro (vedi Fig. 17). Per quanto riguarda la posizione del grande lebete su sostegno (visto e documentato in quell’area anche dagli archeologi intervenuti in corso di scavo) e del carro, non ci sono dubbi. Del tutto ipotetica è naturalmente la distribuzione qui proposta della maggior parte del vasellame lungo la banchina (?) occidentale. La presenza di preziosi arredi è sicuramente postulata in quell’area dagli avori rivestiti di foglia d’oro; sono del tutto assenti i numerosissimi oggetti in legno (ben documentati a Verucchio di straordinaria e raffinatissima fattura, come il trono, il poggiapiedi, i manico di flabello, i tavoli, il numeroso vasellame, le preziose scatole, ecc.). Nulla sappiamo dell’organizzazione dello spazio parietale (scudi sono documentati da Helbig lungo la parete sud, forse erano appesi ).
Il tumulo e la copertura lignea della tomba
Per ultimo, riguardo alla copertura della fossa, possiamo solo fare delle ipotesi sulla base di altre tombe laziali simili in altezza al recinto della Bernardini alto circa due metri secondo Helbig (il lebete su sostegno misura da solo m. 1,8o in altezza). Comunemente, due pilastri lignei o di pietra sorreggono una trave lignea disposta longitudinalmente con il compito di sorreggere un palancato (come si desume dai resti del foro che ospitava la trave maestra e le riseghe perimetrali sul bordo litico della fossa ricavate per l’appoggio del palancato rinvenute alla Laurentina). Il pesante tumulo, come già spiegato, con il tempo, a seguito del crollo del palancato precipita all’interno della fossa, danneggiando purtroppo molti reperti. Anche nel caso della Bernardini avvenne la stessa cosa.
Lo scavo
Condotto solo da maestranze inesperte e, a detta degli stessi scavatori, ad iniziare dal rinvenimento in superficie dell’ammasso caotico di pietrame fino al livello dei reperti, nessuno, aveva capito che cosa si stesse scavando; da qui le ipotesi più stravaganti accompagnarono le varie fasi dei lavori.
Essi trovarono il fondo argilloso della fossa assai indurito in quanto filtrato da particelle solide trasportate dall’acqua. Ciò li costrinse ad estrarre molti reperti assieme alla terra, facendo molti blocchi. Numerosi oggetti erano stati danneggiati dalla dinamica del crollo e si trovavano dispersi e già in frammenti. Non avendo la minima idea della loro forma originale, ne furono raccolte solo le parti più grandi. I pochi resti del defunto vennero gettati via (si conserva solo una falange di un dito), sono del tutto assenti gli oggetti in ceramica, ne venne conservato solo qualche frammento. Riassumendo, lo scavo caotico di centinaia di reperti fu solo parziale e una infinità di dati sono andati perduti (si pensi agli arredi, ai tessuti, a vari tipi di materiale deperibile o di altra natura come paste vitree, ambra, avori, mancano addirittura i cerchioni in ferro delle ruote e molte altre parti del carro, ecc.).
Quando i lavori erano ancora in corso, la notizia della scoperta del tesoro di Palestrina giunse a Roma e alcuni archeologi si recarono sullo scavo (alcuni per trattare sul prezzo), proprio quando si stavano estraendo alcuni oggetti dal cd. “incavo”. Da alcune lettere intercorse si sono potute ricostruire alcune fasi dello scavo, della sua durata, ecc.
IL CORREDO FUNEBRE
Risultano in totale 123 oggetti, tra cui 15 d’oro, 4 d’argento dorato, 22 d’argento, 33 di bronzo, 7 di ferro, 27 di avorio ed altri 15 elementi di varia natura.
Oggetti d’oro
– Piastra (cm. 17 x 10) decorata con circa 80 animali di vario tipo: leoni, cavalli e animali fantastici (sirene, chimere). Gli animali sono ottenuti da lamina, saldando due metà lavorate a stampo decorate a granulazione. All’atto del rinvenimento si conservavano tracce di stoffa nella parte posteriore; probabilmente veniva portata centralmente, sul petto (Fig. 4).
(Fig. 4)
– Affibbiagli a spranghe. Ne furono rinvenuti due esemplari. Realizzati in due parti mobili trattenute da ganci; due lunghi aghi fermano i lembi della veste entrando nei rispettivi abitacoli. In questo esemplare appaiono al centro due file contrapposte di tre sfingi sedute; dietro di esse, un’altra fila di sfingi per lato. Le tre sbarre all’estremità terminano con teste femminili rivolte verso l’esterno (Fig. 5).
(Fig. 5)
– Fermagli del tipo “a pettine”. Dei quattro esemplari rinvenuti, tre erano del tipo a due frange con cilindro centrale; uno di essi era forse ad una sola frangia collegata alla lastra rettangolare. Le varie formulazioni di questi tipi di fermagli indicano usi differenti in varie parti del corpo. Un tipo a due frange assicura i due lembi del mantello sulla spalla di una statuetta (da Caere) (Fig.7); i tipi a cilindro, date le dimensioni, venivano forse portati tra spalla e petto.
Tra le oreficerie, il repertorio decorativo del fermaglio che si mostra rappresenta uno degli oggetti più raffinati (Fig.6). Al centro vi figurano due sfingi alate rivolte in direzioni opposte; su entrambi i lati appaiono tre uccelli in volo verso destra, mentre alle due estremità appare un leone rampante. Figure decorate a granulazione; la cornice della placca è eseguita con una fascia di finissima filigrana con fili d’oro intrecciati e ondulati.
(Fig. 6)
(Fig. 7)
– Cilindro centrale di fermaglio a pettine (le frange sono andate disperse) decorato a granulazione. Su entrambi i lati una fila di undici leoni accovacciati, con leone centrale a due teste (Fig. 8).
(Fig. 8)
– Cilindri centrali di fermaglio a pettine. (Fig. 9) (Le frange non sono pertinenti).
(Fig. 9)
– Frange d’argento e argento dorato.
– Fibula del tipo “a drago” a staffa lunga d’oro. (Fig. 10).
(Fig. 10)
– Kotyle d’oro. Sulle due anse orizzontali poggiano due sfingi per parte decorate con la tecnica della granulazione ottenute ciascuna unendo due parti di lamina ottenute a stampo (Fig. 11).
(Fig. 11)
(Fig. 11) Dettagli
Oggetti d’argento e argento dorato
– Coppa emisferica con protomi di serpente, d’argento dorato. Dall’alto, una fila di ocarelle. Sotto una sfilata di guerrieri a piedi, a cavallo e su carro. Nel terzo registro un’altra parata simile interrotta da due guerrieri affrontati. Nel quarto fregio scandito da alberi di palma e scene bucoliche: due vacche con un vitello, un cacciatore, due cavalli al pascolo, un contadino al lavoro in una vigna, un arciere a cavallo scocca una freccia contro due leoni che azzannano un toro, un uomo che lotta contro un leone. La coppa, che imita i grandi lebeti, è forse stata importata da Cipro; misura 16 cm di diametro. Forse le protomi di serpente, coperte con foglia d’oro, sono state aggiunte in un secondo tempo; la coppa è stata forse dorata con procedimento chimico (Fig. 12).
(Fig. 12)
– Patera d’argento dorato. Lungo l’orlo appare un serpente; al centro una complessa scena: un personaggio nudo è legato ad un palo mentre un altro, d’aspetto egizio, colpisce un altro personaggio. Nell’esergo figurano alcuni cani che azzannano altri personaggi. Nel fregio accanto appare una teoria di cavalli che procede verso destra accompagnata da volo di uccelli. Nel fregio esterno viene rappresentata un’avventura di caccia del re: partito su un carro, viene aggredito da un mostro e salvato da una dea alata (Fig. 13).
(Fig. 13)
– Patera d’argento. Il faraone sta per colpire un gruppo di nemici ed è al centro di una complessa rappresentazione dove appaiono vari eventi che vedono anche coinvolte alcune divinità. Lungo il bordo figurano file di pseudogeroglifici, mentre al centro compare graffita un’iscrizione fenicia, evidentemente il nome dell’artefice (Fig. 14).
(Fig. 14)
(Fig. 14) Nel dettaglio la firma dell’artefice.
– Patera d’argento dorato. Decorata all’interno. Nel fregio interno una fila di cavalli tra un volo di uccelli, in quello esterno una fila di tori alternati ad alberi sormontati da un volo di uccelli (Fig. 15).
(Fig. 15)
– Coppia di falere d’argento e d’oro. Sulle due falere un fregio in lamina d’oro lavorato a giorno mostra figure di uomini, animali gradienti (leoni e cavalli) ed infine alberi (Fig. 16).
(Fig. 16)
– Cinque fibule frammentarie in argento e oro. (Fig. 17).
(Fig. 17)
– Due Phialai mesomphalos d’argento. Una a fondo piatto (potrebbe essere stata importata dall’oriente); l’altra a fondo tondeggiante. (In assenza dell’immagine originale si mostra un esemplare simile alla Fig. 18)
(Fig. 18)
– Cinque coppe emisferiche d’argento. Quattro sono decorate poco sotto l’orlo da cerchielli e file di squame (nel numero di 4 in due esemplari, oppure di 3); una di esse, frammentaria, mostra sotto l’orlo una ghirlanda di boccioli (Fig. 19). Una coppa recava graffito il nome Vetusia. Questo tipo di coppe sono esclusive del sodalizio femminile del gruppo gentilizio di appartenenza. Anche in Etruria, nella celebre tomba ceretana Regolini Galassi, queste coppe (una reca iscritto un nome femminile) appaiono in numero di cinque. Sia a Preneste che a Cerveteri, si tratta quasi certamente di doni funebri del mondo muliebre.
(Fig. 19)
– Lebete d’argento con coperchio-colino e attingitoio. Il coperchio, fornito di un piccolo manico laterale desinente in forma di protome d’uccello, presenta al centro un incavo con fori disposti a spirale. Anche il manico dell’attingitoio termina con una protome d’uccello simile a quella del colino (Fig. 20).
(Fig. 20)
– Kotyle d’argento ed altri tre (?) esemplari frammentari. (In assenza dell’immagine originale si mostra un esemplare simile alla Fig. 21).
(Fig. 21)
– Oinochoe d’argento. Assai deteriorata, presenta numerose integrazioni, manca la bocca trilobata. Costruita assemblando varie parti, come il collo e ventre, oppure l’ansa realizzata con due tubicini accostati ai quali si innesta la palmetta d’oro fissata ai tubicini da una fascetta d’oro. Forse importata da Cipro. (In assenza dell’immagine originale si mostra un esemplare simile alla Fig. 22).
(Fig. 22)
– Grattugia d’argento. (Fig. 23).
(Fig. 23)
– Manico d’argento. Di difficile interpretazione. Indicato spesso (a torto) come un manico di scudo, probabilmente faceva parte di un carrello cerimoniale. Appaiono numerose decorazioni: sulla piastra inferiore una donna tra due sfingi rampanti, su quella superiore una donna alata tra due animali. Sulla striscia in basso due cavalli rampanti mentre al centro due personaggi affrontano un mostro dal corpo di leone e testa umana con corna. In alto, due personaggi capovolti affrontano un leone. Sul lato interno della striscia, entro una treccia, leoni incedono verso sinistra circondati da cavalli (Fig. 24).
(Fig. 24)
– Fibula a drago d’argento. Frammentaria
– Spada a lingua di presa con fodero d’argento. Impugnatura formata da due elementi d’ambra la cui congiunzione è assicurata da avvolgimento di fili d’oro e mascherata lateralmente da una striscia d’oro decorata da denti di lupo punteggiati; il pomo è formato da due elementi lunati d’ambra. Lama del tipo a “lingua di carpa” con cinque costolature che si riuniscono a due terzi della lunghezza. Fodero formato da due lamine d’argento tra loro avvolte all’estremità. Decorato con costolature fitte sul lato anteriore, che si riducono a tre su quello posteriore. Puntale formato da un tubetto d’argento con due dischi agganciato al fodero da un avvolgimento di fili d’oro (Fig. 25).
(Fig. 25)
(Fig. 25) Dettaglio
– Spada a codolo, di ferro, con fodero d’argento. Impugnatura d’avorio decorata alla base da due coppie di mostri alati a leggero rilievo. Fodero formato da due lamine unite lungo il bordo da una striscia, Su un lato due fregi incorniciati da una treccia nei quali si inseriscono teorie di cervi, tori, leoni, una lepre ed infine un cacciatore. Sull’altro lato due fregi con animali: in alto a sinistra un uomo a terra si difende da un leone, in basso a destra appare un uomo inginocchiato, mentre accanto al puntale figurano un centauro e un cane. Puntale formato da un fiore a quattro petali d’argento dorato decorato a granulazione (Fig. 26).
(Fig. 26)
– Frammento di spada di ferro con fodero d’argento.
– Altri elementi d’argento: frammenti di lamina d’argento decorata a sbalzo; pomello d’argento; frammenti di striscia d’argento.
Oggetti di bronzo
– Monumentale lebete di bronzo con due manici in forma di sirena e sei protomi di grifone, poggiante su sostegno di bronzo decorato a sbalzo. Presenta due manici sotto l’orlo con teste umane, ali e coda d’uccello. I grifoni rivolti all’interno, frutto di un recente restauro sbagliato, andrebbero invece rivolti all’esterno; le protomi (ricostruite in gesso con pochi frammenti originali) erano riempite con bitume. Gli occhi dei grifoni sono resi in avorio. Otto rosette all’intero del calderone in corrispondenza delle protomi. Il sostegno conico (hipocraterion) è decorato con due coppie di cavalli alati rampanti; in alto figurano una ghirlanda di fiori boccioli di loto rivolti verso il basso. Altezza (sostegno + lebete) = m. 1,80 circa. Importato dalla Siria settentrionale (Fig. 27).
Dettaglio della presa.
Dettaglio del grifone
(Fig. 27)
– Lebete di bronzo. Forse importato dall’oriente (Fig. 28).
(Fig. 28)
– Tripode di bronzo e ferro. Tre piedi in forma di zoccolo sostengono il tripode su cui poggia il lebete. Sul punto d’appoggio, rialzati su placche, si fronteggiano due cani contrapposti le cui zampe anteriori penetrano nella parete della vasca; poggiano invece sulla sommità del tripode due personaggi coperti solo da una cintura alla vita, con le teste e le mani poggiate sull’orlo della vasca, ugualmente contrapposti (Fig. 29). Alto 57 cm.
(Fig. 29)
(Fig. 29) Dettaglio
– Tripode di bronzo. Alto 32 cm.
– Situla tipo kurd con coperchio di lamina di bronzo. Forse importata dall’Etruria settentrionale (Fig. 30).
(Fig. 30)
– Coppa di bronzo a doppia parete. Un catino interno è avvolto da un catino esterno che presenta una serie di figure lavorate a sbalzo in forma di tori alternati a teste femminili. Tutti questi elementi si raccordavano in origine alla base del calice (purtroppo mancante). Tra i due catini venne inserito del bitume. Importato dalla Siria settentrionale (Fig. 31).
(Fig. 31)
– Coppa di bronzo simile alla precedente, frammentaria.
– Tazza di bronzo a doppia parete. Decorata a sbalzo. Quattro protomi umane di prospetto si alternano ad altrettanti alberi di palma. Sotto, si alternano teste di toro e di leone; in origine, la tazza aveva due manici. Tra i due involucri venne inserito del bitume. Forse importata dalla Siria settentrionale (Fig 32).
(Fig. 32)
– Conca di bronzo a due manici. Di forma bassa e larga, mostra due manici a maniglia sopraelevati resi con tondini applicati alla parete del contenitore. Superiormente le maniglie mostrano un fiore di loto e ai lati due protomi di toro. Probabilmente da Vetulonia; le anse derivano forse da modelli orientali riscontrabili in ambito cipriota (Fig. 33).
(Fig. 33)
– Patera di bronzo a doppia parete. Forma a calotta depressa. Integra.
– Kalathos di bronzo a doppia parete.
– Patera baccellata di bronzo. (In assenza dell’immagine originale si mostra un esemplare simile alla Fig. 34).
(Fig. 34)
– Frammenti di altre patere simili.
– Coppia di alari in bronzo. Le traversine longitudinali terminano con protomi di uccello (Fig. 35).
(Fig. 35)
– Scudo rotondo in lamina di bronzo. Decorato a sbalzo. Nei vari registri circolari si alternano raffigurazioni di uccelli, leoni, cavalieri, motivi vegetali e geometrici; umbone decorato con quattro costolature concentriche. Frammentario; diametro ricostruito circa 1 m. (Fig. 36).
(Fig. 36)
– Due manici di scudo di bronzo.
– Due umboni di scudo di bronzo.
– Fibbia di bronzo fuso. Due figure con gambe di profilo e tronco di prospetto. Dal fianco di una spunta un gancio che si infila nell’occhiello formato dal braccio sinistro dell’altra. La diffusione del tipo potrebbe essere di origine orientale (Fig. 37).
(Fig. 37)
– Punta di lancia in bronzo.
– Tre puntali di lancia in bronzo (souroter).
– Coppia di finali in bronzo fuso in forma di leoni accovacciati. Forse importati da Vetulonia (Fig. 38).
(Fig. 38)
– Coppia di finali angolari di bronzo fuso. Forse parti del carro. Formati da due tubi che si incrociano ad angolo desinenti ciascuno con una protome di leone dalle cui fauci pende il corpo di un uomo. Una serie di fori sotto e sopra i tubi; da quelli sopra pendono figurine. Su uno dei finali, al centro, un uomo in atto di vibrare una lancia; a sinistra un uomo inginocchiato e un centauro, a destra un altro centauro, tutti con corona di piume. L’altro finale presenta al centro un leone, su ciascun lato una sfinge senz’ali e un uomo con corona di piume (Fig. 39).
(Fig. 39)
– Coppia di finali angolari di bronzo fuso. Di forma triangolare, desinenti con protome di leone rivolta all’esterno. Protomi con minuscole zampe anteriori, fauci spalancate, occhi incrostati di pasta bianca. Stilisticamente diversi dai precedenti, costituiscono un unicum.
Elementi in ferro
– Impugnatura di ferro con rivestimento d’avorio e ambra.
– Sei elementi di impugnatura simile di ferro e ambra.
– tre punte di lancia in ferro.L = 45 cm. Aderiscono frammenti d’argento.
– Due puntali di lancia di ferro (souroter).
– Punta di lancia di ferro. L= 17 cm.
– Ascia di ferro con foro per immanicatura.
– Frammento di cerchione di ruota di ferro. Serie di sei fori, di cui uno con chiodo inserito. Probabilmente pertinente alle ruote del carro.
Elementi d’avorio
Alla classe degli avori appartengono numerosi elementi frammentari d’incerta attribuzione. Mostreremo solo alcuni pannelli più integri.
– Pannello d’avorio con scena nilotica. Nella parte centrale decorata a rilievo appaiono due vogatori alle estremità. A bordo due donne con abiti trasparenti portano offerte ad un personaggio seduto. Una terza donna versa del liquido in un recipiente. I fiori di papiro che formano le estremità della barca erano lavorati a cloisonné. Altri due pannelli frammentari accompagnavano a destra e a sinistra il motivo centrale, decorati a graffito con fiori di loto, palme e uccelli; su quello di destra si riconoscono le onde e il remo della barca. Questi pannelli mostrano una certa affinità con avori punici (Fig. 40).
(Fig. 40)
– Frammenti d’avorio con decorazione a rilievo. Appartengono forse ad un medesimo pannello. Donne dalle vesti trasparenti, musicanti o con delle offerte si dirigono a destra verso una dea (?) in trono Dietro di esse una donna versa del liquido in una patera. Le acconciature, di tipo egizio, sono a cloisonné. In generale, questi motivi ricorrono su patere e avori (Fig. 41).
(Fig. 41)
– Frammenti d’avorio con decorazione a rilievo. Appartengono a uno o più pannelli. Rappresentano uomini armati vestiti con corti chitoni, a piedi, a cavallo o su carri. Probabilmente scene di caccia: si riconoscono uccelli in volo dei quali uno sta per essere raggiunta da una freccia, cani in corsa, tra palme e cespugli di papiro. Le acconciature, che ricordano il klaft egizio, sono rese a cloisonné. Un frammento con ruota di carro ha il cerchio rivestito di foglia d’oro e conserva parte dell’incrostazione in ambra (piuttosto insolita: forse un elemento occidentale) (Fig. 42).
(Fig. 42)
– Pannelli orizzontali d’avorio decorati a graffito. Suddivisi mediante linee orizzontali in riquadri, in ciascuno dei quali è un fiore di loto tra due boccioli. Su un pannello si inverte la direzione dei fiori. Tracce di colore azzurro. Al calice di alcuni fiori aderiscono ancora frammenti di foglia d’oro (Fig. 43).
(Fig. 43)
– Frammenti di una (o più pissidi?) d’avorio. Di forma cilindrica. Personaggi di grossa corporatura, di aspetto egittizzante, in lotta con animali, grifoni, leoni alati. Sul bordo liscio e leggermente aggettante si alternano protomi di grifone e leoni accovacciati d’avorio. Alcuni leoni portano una preda sulla schiena, talvolta la vittima è un uomo. Tracce di doratura. Forse di fattura etrusca.
– Segue una lunga lista di oggetti d’avorio non ricomponibili perché frammentari: pissidi, animali di varia natura, un anello.
Oggetti in ceramica
Come già accennato in precedenza, la classe della ceramica è la grande assente nella tomba Bernardini. Furono raccolti solo pochi frammenti, e questo lascia intendere, in generale, quanto sia andato perduto di questo straordinario complesso (Fig. 44).
– Anforetta d’impasto frammentaria (A)
– Due frammenti di bucchero (B)
– Frammento di Kotyle di tipo protocorinzio (C)
– Tre frammenti di ceramica protococorinzia (D)
B
A C D
(Fig. 44)
Oggetti di vetro, faïence, ambra e cuoio
– Coppa emisferica di vetro. Importazione assira, probabilmente da Nimrud (Fig. 45).
(Fig. 45)
– Patera di faïence.
– Frammento d’ambra.
– Oggetto di cuoio a forma di cestello. Decorato a traforo e incisione, reca chiodi di bronzo; tracce di legno all’interno.
Il carro
(La forma del carro presentato nella ricostruzione schematica della Fig. 3 è puramente indicativa).
Alla bardatura dei cavalli appartengono le due falere (Fig. 16), frammenti di uno, forse due morsi, quattro fibbie e due elementi a spirale di bronzo, un frammento formato dia due strisce doppie di cuoio incrociate con perno centrale di bronzo. Tra i resti del carro si sono potuti riconoscere: quattro parti relative a due mozzi di legno e relativi rivestimenti in bronzo e ferro; l’estremità del timone con parte del rivestimento bronzeo, un frammento del cerchione della ruota di ferro; un frammento di legno relativo alle maniglie foderate di nastri metallici o di cuoio applicate in origine alla sponda della cassa. Alla cassa erano applicate tre coppie di terminali in bronzo, tra cui due angolari (Fig. 39) e due finali di cui si conservano i resti lignei delle protomi leonine; inoltre, è documentata una terza coppia di terminali semplici a forma di leone accovacciato (Fig. 38). (Dati desunti da A. Emiliozzi, I resti del carro Bernardini nel quadro delle attestazioni coeve dell’area medio italica, in La Necropoli di Praeneste, p. 85 ss,).
Il lusso funerario e l’affermazione delle aristocrazie nel Lazio antico
La tomba Bernardini evidenzia e riassume in modo esemplare le diverse componenti che sono all’origine della cultura orientalizzante. Le numerose importazioni documentate provengono da varie regioni del Vicino Oriente, Urartu, Siria Assiria Fenicia – probabilmente avvenute direttamente senza passare attraverso la mediazione greca, come mostra anche la distribuzione delle importazioni orientali nel resto d’ Italia nel corso dell’VIII secolo a.C.
Nell’ambito di queste importazioni e la conseguente trasmissione in occidente dei modelli ispirati alle insegne del potere di tradizione orientale, la tomba Bernardini assimila ed esprime, sotto il profilo ideologico, l’imponente sfoggio regale esibito dallo sfarzoso repertorio delle monarchie orientali. In questa prospettiva si rivela anche la profonda differenza tra il carattere della tryphé dei complessi prenestini (a partire dal VII secolo a.C.) e quello esibito dalle coeve sepolture principesche laziali di età orientalizzante. I momenti fondamentali della strutturazione e della simbologia del potere in area tirrenica nel corso dell’VIII sec. a.C., avvenuta attraverso lo sfoggio delle insegne del potere politico-religioso, dell’esaltazione della genealogia e dell’elevazione dei rispettivi capi al rango di “re“ all’interno della propria cerchia sociale, sottolineano il ruolo essenziale e preminente dei Fenici nella diffusione in occidente dei modelli orientali e del conseguente stile di vita improntato alla tryphé.
Il nuovo stile di vita delle nascenti aristocrazie laziali rivoluziona ogni momento della vita quotidiana e del sistema relazionale tra le élite. Dal numero dei pasti al giorno, al mangiare seduti, al modo stesso di spezzettare il cibo (il significato stesso del termine tryphé che è diventato sinonimo di mollezza, effeminatezza, lussuria) contrapposto al mangiare vorace, bestiale, degli animali e degli affamati. La rivoluzione dei gruppi emergenti, iniziata nella seconda metà dell’VIII sec. a.C., privilegia un sistema di rapporti e scambi orizzontali tra gruppi aristocratici dei vari centri latini; solo in quest’ambito avviene la circolazione degli oggetti di prestigio e con essi si vanno strutturando nuovi modelli dominanti elitari, gli scambi matrimoniali e la stessa diffusione della scrittura.
La fibula prenestina di Manios
La fibula di Manios fin dalla sua presentazione agli studiosi (1887) ha suscitato vivaci polemiche sulla sua autenticità e – soprattutto – su quella dell’iscrizione incisa sulla staffa. Il dibattito ha coinvolto per oltre cento anni archeologi e linguisti. Oggi finalmente le recenti analisi chimico-fisiche hanno accertato l’autenticità dell’oggetto e dell’iscrizione, confermata non solo dagli studi tipologici, ma anche dalle ultime acquisizioni linguistiche. La Fibula Prenestina è esposta dal 2000 nella Sezione Preistoria del Museo Nazionale Preistorico Etnografico “L. Pigorini” ed è stata presentata come autentica non solo nelle mostre Civiltà del Lazio Primitivo (Roma 1976) e Naissance de Rome (Paris 1977), anteriori alla Memoria di Margherita Guarducci, ma anche nelle esposizioni organizzate in anni recenti.
L’ infinita e appassionante storia della fibula è stata riassunta da Elisabetta Mangani. Per leggere il testo integrale clicca qui: Fibula_Prenestina_in_BPI