Recensione di Anna Pasqualini
Nonostante, dopo un lungo periodo di oblio, siano state riprese, a partire dalla metà degli anni ’80 del secolo scorso, le ricerche sulla civiltà dei Colli Albani e, soprattutto, si sia cercato di individuare la consistenza reale di Alba Longa, una città scomparsa e mai trovata, che le fonti definiscono “madre di Roma”, i numerosi problemi affrontati di volta in volta da agguerriti specialisti non sembrano aver raggiunto un livello soddisfacente di soluzione.
I deludenti risultati sono connessi, a volte, alla frammentarietà delle indagini, a volte, alla scarsa conoscenza e frequentazione dei luoghi, dove si sarebbero svolti i fatti che prelusero alla nascita di Roma.
A tali carenze cerca ora di sopperire questo volume, frutto di lunghe esplorazioni sul terreno e di un’accurata quanto capillare raccolta di fonti letterarie e antiquarie.
Il lavoro si articola in densi capitoli in cui si esaminano gli aspetti peculiari del territorio con l’intento, riuscito, di collocare nello spazio reale le allusioni piuttosto vaghe, ma non così vaghe, come si potrebbe supporre, delle fonti.
Sono dunque indagati e raccolti in un quadro organico i dati relativi al popolamento della vasta pianura che circonda il massiccio del Monte Albano, pianura e colline solcate da strade, di cui si riconoscono finalmente gli aspetti funzionali in relazione con le attività cultuali.
Spicca fra tutte l’individuazione della reale estensione del bosco sacro a Giove Laziale e della sua valenza giuridico-sacrale. Un’assoluta novità è costituita dalla valorizzazione della località denominata Prato Fabio, peraltro già indicata in passato come probabile sito di Alba Longa. Non è un caso che il toponimo conservi nella sua articolazione il ricordo di un’importantissima famiglia romana, alla quale appartennero Fabio Pittore, primo annalista della storiografia romana, che avrebbe letteralmente “ricostruito” i primordia di Alba e di Roma, e un altro Fabio, autorevole possidente della zona, strettamente legato ad Augusto, che ristrutturò il pianoro costruendovi un tempio/sacello alla divinità della casa imperiale. Non è un caso che sempre un Fabio abbia illustrato in un famoso affresco di Pompei il miracolo dell’unione di Marte e Rea Silvia ambientandolo sul declivio di Alba.
E sempre in tema di toponimi, l’aver ribadito con nuove argomentazioni la coincidenza tra Alba e il Monte Albano ha sgombrato definitivamente il dibattito dall’ingombrante proposito di trovare a tutti i costi una “metropoli” protostorica che non è mai esistita.
Restituito il quadro topografico della regione dei Colli Albani, l’A. è stato in grado di collocare in esso, in modo puntuale e coerente, l’evento chiave di tutto il territorio, e cioè le feriae Latinae, feste di tutto il Lazio romanizzato, che Roma continuò a celebrare lungo tutto il corso della sua lunga storia. L’esame approfondito della via sacra, arricchito da nuove acquisizioni, ha consentito di definire l’articolazione della cerimonia nelle sue varie fasi, dal formarsi della processione, al suo procedere fino alla sommità del monte e alla sua conclusione con il rito comunitario del sacrificio del toro bianco e della spartizione delle sue carni.
Purtroppo il pianoro di Monte Cavo, teatro del solenne atto liturgico, è ben lungi dall’essere conosciuto e tutelato. Oggetto di una selvaggia speculazione edilizia, il sito è deturpato e irriconoscibile; né è valsa la meticolosa ricostruzione da parte dell’A. dei vari interventi di scavo, sempre frettolosi e superficiali, che si sono succeduti nel corso dell’età moderna, a fornire una pur lontana immagine degli apprestamenti originari dell’area. Eppure anche qui è emersa una stimolante novità: l’individuazione di una gradinata destinata ad accogliere la folta schiera dei rappresentanti delle città latine ammessi alla celebrazione del sacrificio, documentata da un importante quanto noto schizzo secentesco dell’area, ma mai prima d’ora connesso con gli edifici funzionali alla cerimonia.
A completare il quadro della civiltà dei Colli Albani concorrono tre ‘Appendici’ sul caput aquae Ferentinae, sul lago Regillo e sulla panoplia di Lanuvio. Apparentemente indipendenti tra di loro, questi tre argomenti sono invece strettamente collegati ad aspetti della civiltà dei Colli Albani.
Una civiltà che, grazie allo studio serrato di Franco Arietti, assume contorni definiti e coerenti come mai prima d’ora.