Presentiamo la storia della scoperta e dello scavo dell’Ipogeo delle Ghirlande attraverso la documentazione allegata alla Carta Archeologica del Comune di Grottaferrata (clicca qui Sito 268). Le vicende della straordinaria scoperta hanno fatto il giro del mondo grazie ad un documentario di Discovery Channel, recentemente apparso anche su Youtube: “Carvilius, un enigma dall’antica Roma”, che di seguito qui riproponiamo, ed alla replica di questo documentario sui programmi Rai, come ad esempio Passaggio a nord ovest curato da A. Angela.
(Franco Arietti)
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I 271 siti della Carta Archeologica del Comune di Grottaferrata sono stati tutti censiti attraverso sopralluoghi sistematici. In molti casi è stato necessario ritornare più volte nello stesso luogo per documentare realtà complesse, come nel caso di Ad Decimum, una delle aree archeologiche più importanti dei Colli Albani. L‘Ipogeo delle Ghirlande è stato rinvenuto nel corso di uno di questi sopralluoghi.
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(Segue un breve riassunto della scheda relativa al sito n° 268: Ipogeo delle Ghirlande)
LO SCAVO DEL DROMOS
Lo scavo è iniziato ai primi di maggio 2000. Sono apparsi subito alcuni gradini e il primo tratto di quello che sarebbe poi stato identificato come un dromos. E’ stata messa in luce per intero la scala che terminava all’interno di un’anticamera disposta ortogonalmente. Di fronte alla scala, nella parete esterna della cella, è apparso il monumentale sigillo, un grande blocco monolitico di peperino che ne assicurava la chiusura (Tav. 2). La tomba, formata da dromos, anticamera e cella sepolcrale, si sviluppa lungo un asse longitudinale orientato NO/SE. Ad oggi lo scavo completo della parte esterna al dromos, così come dell’area superficiale di tutto l’ipogeo, non è stato nemmeno iniziato, dal momento che è stata messa in luce solo la scala con le relative pareti laterali, danneggiate superiormente dalla benna. Pertanto non sappiamo nulla dell’assetto architettonico superficiale del sepolcro, della presenza di un eventuale recinto funerario che poteva accogliere al suo interno altre sepolture pertinenti a personaggi legati alla famiglia. Non a caso, quasi certamente da quest’area dov’era probabilmente posta in origine in un’altra tomba ipogea, proviene l’ara dedicata a C. Aebutius Romanus. Un dato certo è che l’ipogeo si trova a pochi metri dall’incrocio tra due strade fondamentali nell’ambito della rete stradale del Colli Albani: la Via Latina e la Via Valeria.
La scala, nel primo tratto fino al pianerottolo compreso, risulta apparentemente priva di copertura e ciò spiega la presenza di un cordolo in opus signinum tutt’attorno al pianerottolo – il cui piano appare rivestito dello stesso materiale – evidentemente eseguito per trattenere e impedire all’acqua piovana di scendere e penetrare nell’anticamera e poi nella cella. E’ possibile comunque che anche questo primo tratto di scala fosse in origine coperto con qualche tettoia. Per quanto riguarda lo spazio immediatamente circostante il dromos non ancora scavato, sopra le spallette laterali, la terra in sezione mostra alcuni strati che farebbero pensare ad una qualche opera di sistemazione del piano superiore circostante. Superiormente, la scala inizia con una soglia lapidea, rinvenuta in giacitura secondaria nei pressi, posta in origine poco sotto l’attuale livello di campagna; otto gradini portano fino al pianerottolo, seguiti da altri cinque. I gradini sono eseguiti con laterizi ed ugualmente il paramento delle spallette laterali. La scala misura m 0,90 (tre piedi) in larghezza, mentre le spallette laterali che accompagnano la scala fino all’anticamera, sono lunghe m 4. Il sigillo, rinvenuto perfettamente incastrato tra gli elementi lapidei circostanti, è largo m 0,90 (quanto la scala) alto m 1,20 (quattro piedi) e spesso m 0,70; il suo peso stimato è di circa kg 1660. Reca esternamente tre grappe di ferro di forma rettangolare, alloggiate per metà all’interno del bordo del sigillo e per l’atra metà nei blocchi adiacenti: una grappa è posta superiormente, al centro del blocco, le altre due alla metà dei lati lunghi. Benché il ferro sia mal conservato ed appaia molto ossidato nelle rispettive sedi, le grappe mostrano tracce della fattura originale, costituita da una sorta di perno alloggiato nei tre incavi ricavati nel sigillo: probabilmente le estremità delle grappe venivano murate all’atto della chiusura della tomba, smurate nel corso di una nuova apertura (ad esempio per depositare il sarcofago di Ebuzia o la terza – e forse quarta – persona sepolta), fatte ruotare di 90° in modo da potervi attaccare le funi e rimuovere il pesantissimo blocco di peperino.
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L’ANTICAMERA
Il paramento in opera laterizia dei muri del dromos riveste anche parte dell’anticamera, un piccolo ambiente disposto ortogonalmente alla scala, ma non la parete frontale pertinente alla cella, costruita con blocchi di peperino. Si contrappongono in tal modo due sistemi costruttivi differenti: infatti, mentre la fattura della scala e dell’anticamera risulta omogenea – opera cementizia rivestita con paramento in laterizio – la cella è diversamente costruita con l’impiego di soli blocchi di peperino. L’anticamera misura m 2,40 x 1,20 ma l’ambiente non è speculare rispetto all’asse longitudinale dell’ipogeo, poiché il vano meridionale risulta un po’ più lungo, probabilmente per accogliere provvisoriamente il sigillo lapideo che veniva estratto e fatto ruotare nelle operazioni di apertura e chiusura della tomba durante le fasi di riutilizzo. La volta cementizia dell’anticamera mostra all’intradosso, nel senso longitudinale, delle scanalature, cavità riempite alternando file di mattoni (bessali), di cui rimane quasi solo l’impronta, mentre si scorgono esili tracce di stucco che non consentono di risalire al motivo decorativo originale. Superiormente, la volta, spessa m 0,40, risulta spianata e ricoperta con cocciopesto; non è possibile stabilire se essa si estende a coprire anche i blocchi di peperino all’estradosso della volta della cella, dal momento che, come detto all’inizio, lo scavo dell’ipogeo è stato limitato al dromos. Sarebbe infatti interessante capire la relazione strutturale tra cella e anticamera, dal momento che quest’ultima, almeno dall’interno, parrebbe solo appoggiarsi alla cella. Il piano di calpestio dell’anticamera, eseguito con laterizi, coincide con quello del terz’ultimo gradino; lo si osserva solo nei due vani laterali perché risulta separato al centro dagli ultimi due gradini della scala principale. Per ultimo, la superficie della parete di fondo e quella del sigillo mostrano tracce di intonaco dipinto.
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LA CAMERA SEPOLCRALE (Tavv. 3 – 4)
Misura all’interno m. 3 x 3, per un’altezza max di m. 2, 30. La cella non venne costruita in grande profondità nel terreno, se si considera che il piano di campagna attuale e il punto centrale dell’intradosso della volta risultano separati da una distanza di appena m 1,60.
L’ambiente é interamente rivestito con blocchi di peperino (lapis albanus), compreso il pavimento, La camera presenta una volta a botte con arco tutto sesto, impostata a circa un metro dal piano di calpestio. I blocchi alla base delle pareti sono di grandi dimensioni, così come quelli delle testate. In generale, le superfici interne, accuratamente levigate, sono lavorate con una serie di ritocchi minuziosi, in cui si riconosce l’uso della gradina, mentre gli interstizi furono stuccati con altrettanta cura mediante l’uso una sostanza di colore grigio che ha assicurato una tenuta perfetta contro le infiltrazioni. Sono stati rinvenuti due sarcofagi di marmo; rispetto all’ingresso, uno era appoggiato alla parete opposta (Carvilio Gemello), l’altro (Ebuzia Quarta), disposto ortogonalmente al primo, accostato alla parete di sinistra. Alcuni resti ossei semicombusti, appartenenti a due (?) individui, giacevano sul pavimento, nello spazio compreso tra l’angolo della camera e i due lati brevi dei sarcofagi.
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IL SARCOFAGO DI AEBUTIA QUARTA (Tav. 5)
Misura m 2,07 x 0,74, l’altezza m 0,62. La fronte della cassa presenta una decorazione a rilievo entro una cornice esterna formata da un listello e una gola rovescia; lo spazio interno è diviso in tre parti da quattro lesene con fusto decorato a squame, capitelli corinzi a foglie lisce, la cui base sommariamente modanata appoggia direttamente sulla cornice. Sopra tre ghirlande a foglie di lauro appese alle lesene da cui ricadono le vittae, figurano altrettante tabulae, le due esterne più piccole anepigrafi e quella centrale iscritta. Le tabulae hanno tutte una cornice formata da un listello e una gola rovescia superiormente allineata con l’abaco dei capitelli delle lesene; alle maggiori dimensioni di quella centrale si deve la resa sgraziata della ghirlanda sottostante che risulta schiacciata tra la tabula e la cornice. Sul lato corto di destra figura, all’interno di una cornice, una ghirlanda che contorna un gorgoneion. Il coperchio, a doppio spiovente, presenta un motivo decorativo a foglie embricate con cresta longitudinale nel mezzo appena accennata; lo stesso motivo appare allineato sul colmo, da sinistra a destra. Entrambi i timpani sui lati brevi mostrano un rilievo con corona e vittae. All’atto dell’apertura della camera sepolcrale, si rinvennero, attorno al sarcofago, strisce di stucco cadute a terra che in origine sigillavano la fessura tra la cassa e il coperchio, recanti posteriormente l’impronta; altre tracce della medesima sostanza sono state asportate dalla fessura stessa all’atto dell’apertura del sarcofago.
L’iscrizione è la seguente:
Aebutia C . f. . Quarta / Antestiae Balbinae / et / Carvili Gemelli / mater piissima
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IL SARCOFAGO DI CARVILIUS GEMELLUS (Tav. 7)
Simile al precedente per sintassi decorativa sulla fronte della cassa, ma con coperchio piano; probabilmente questo sarcofago venne deposto per primo. Misura m 2,12 x 0,68, l’altezza m 0,60. Le tre tabulae sulla fronte, superiormente allineate in alto – grosso modo all’altezza dei capitelli – hanno la stessa altezza ma differiscono in larghezza. Solo quella centrale, leggermente più larga delle altre, risulta iscritta con lettere che conservano ancora l’originale rubricatura. Il coperchio, ricavato da un marmo più chiaro e apparentemente diverso di quello della cassa, è finemente decorato. Vi compare un motivo a foglie disposte sulle due metà in modo speculare rispetto all’asse longitudinale, lungo il quale si sviluppa una sorta di lungo “cuscino” formato da file di piccole foglie di quercia e ghiande e da due nastri accoppiati con andamento obliquo che compaiono a tratti, disposti a formare una sorta di spirale che avvolge il lungo “cuscino”. Il peso di quest’ultimo sul letto di foglie sottostanti è sottolineato da una loro leggera incurvatura nella parte centrale del coperchio. Un altro elemento decorativo appare trasversalmente al centro del coperchio, una sorta di fascia decorata con un motivo a cerchi concentrici, tre per parte; la fascia, che conserva probabilmente un valore religioso, alludendo forse alla porta degli inferi, copre il letto di foglie (o forse quest’ultimo si interrompe) e nel contempo viene coperta dal “cuscino” . Sul bordo del coperchio (lato lungo) è presente un restauro eseguito in antico, ma con una sostanza diversa (e forse anche mediante l’impiego di elementi metallici) almeno nel colore, da quella usata per un intervento analogo, sul sarcofago di Ebuzia. L’iscrizione è la seguente:
T . Carvilio . T . f. . Ser(gia tribu) / Gemello / v(ixit) a(nnis) XIIX m(ensibus) III
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Interventi di scavo microstratigrafico:
Sarcofago di Aebutia Quarta (Tav. 6)
Le operazione di apertura del sarcofago di Ebuzia sono state condizionate dalla presenza di alcune fessure osservate su una parte del coperchio. La precauzione di rimuovere prima i frammenti marmorei fu dovuta alla necessità di evitare una loro caduta all’interno durante lo spostamento ed il sollevamento del pesante coperchio. Il corpo di Ebuzia era appena percepibile perché ricoperto da un manto vegetale costituito da centinaia di piccole ghirlande che lasciavano intravedere una piccola parte della testa, dove si evidenziava una larga benda di stoffa di colore marrone chiaro, sotto la quale si distingueva la reticella d’oro ricoperta da un tessuto pregno di incrostazioni calcaree evidentemente cadute in seguito alla alterazione del marmo del coperchio. Anche gli arti inferiori erano scoperti, ma in corso di scavo si è compreso che ciò fu dovuto al crollo dello stucco con cui venne effettuato in antico il restauro del coperchio nella parte interna, probabilmente danneggiato durante le fasi di trasporto. Il corpo era adagiato su uno strato di sabbia di fiume avvolto in un tessuto, presente anche sul cuscino marmoreo leggermente concavo, scolpito ad un livello superiore rispetto al fondo. Della veste rimangono pochi frammenti concentrati all’altezza del petto. Il manto vegetale ricopriva la defunta, e sopra ad esso era steso un velo di seta. La testa poggiava su un cuscino di cui rimangono alcuni frammenti di stoffa conservanti parte della decorazione originale e numerosi resti vegetali che circondavano la testa, mentre un mazzetto di fiori era deposto sul petto; nei pressi, sotto il mento, fu rinvenuto un nocciolo di dattero. Il corredo personale è costituito unicamente da un anello d’oro a fascia, con castone in cristallo di rocca lavorato a cabouscion, il quale conferisce rotondità ad un ritratto al vero sottostante, finemente eseguito su lamina in microrilievo, con capigliatura a folti ricci, naso aquilino e labbra sottili (Tav. 11). Le ossa della parte superiore del corpo recano evidenti tracce di combustione; inoltre il totale collasso del viso e del cranio, unitamente ad altri elementi osservati in corso di scavo (ad esempio la precaria presenza di un riduttore in ferro per trattenere il pesante anello d’oro al dito forse in assenza di parti carnose), hanno permesso di ipotizzare che la morte di Ebuzia sia avvenuta a causa delle diffuse ustioni riportate. Tutto lascia pensare che il corpo sia stato ricomposto e quasi completamente ricoperto da centinaia di piccole ghirlande, assenti ad esempio nella sepoltura di Carvilio; è dunque assai probabile che la donna sia stata sepolta con una parrucca, fortunatamente ben conservata nei capelli, nei lacci di cuoio, nell’involucro interno (costituito apparentemente da una sorta di pelliccia di pelle animale) sormontata dalla reticella tessuta con doppio filo d’oro finissimo, e quindi impalpabile al tatto, formante un motivo a nido d’ape e applicata ad un velo trasparente. Una treccia passante sulla fronte, annodata alla nuca e desinente a coda di cavallo riportata sul lato sinistro della tesa fino all’altezza delle orecchie, nasconde l’attaccatura della parrucca sulla fronte e trattiene il velo fino al collo. La larga benda di tessuto di colore marrone che ricopre trasversalmente la parrucca, fu usata forse per fisarla alla testa durante le operazioni di trasporto della salma.
Le operazioni di scavo e di recupero, per la loro complessità, hanno richiesto l’intervento di molti specialisti. Alla tradizionale documentazione fotografica relativa allo scavo stratigrafico, si è accompagnata una sistematica opera di campionatura attraverso numerosi prelievi. Le analisi hanno richiesto tempi lunghi e sono ancora in corso, pertanto questa relazione e le relative annotazioni, a livello interpretativo, debbono intendersi del tutto preliminari. Il sarcofago è stato trasportato all’abbazia di Grottaferrata il giorno 5 gennaio 2001.
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Sarcofago di Carvilio Gemello (Tavv. 8 – 9 – 10)
Una preventiva ricognizione endoscopica compiuta in collaborazione con l’Istituto Centrale del Restauro, eseguita con l’intento di accertare le condizioni della deposizione, ha consigliato di aprire comunque il sarcofago all’interno dell’ipogeo per una corretta valutazione complessiva dello stato dei reperti, necessaria a stabilire la natura dell’intervento. All’atto dell’apertura, tra cassa e coperchio era presente una sostanza sigillante simile a quella presente sull’altro sarcofago. Su tutto il corpo erano presenti numerose incrostazioni staccatesi dal coperchio, le quali hanno richiesto una paziente opera di rimozione. Il corpo di Carvilio era avvolto in un sudario e ricoperto interamente di fiori, dei quali si evidenziavano tracce polverizzate ovunque. Cinque grandi ghirlande ricoprivano la metà superiore del corpo, una delle quali disposta attorno alla testa; il buono stato di conservazione delle ghirlande consente di comprendere la loro fattura composita. Al momento non si può comprendere se i resti di tessuto rossastro che apparivano superiormente in vari punti, soprattutto ai lati, fossero riconducibili ad un velo che ricopriva tutto il corpo, o più semplicemente a nastri connessi con le ghirlande. Come per Ebuzia, anche Carvilio recava sul petto un ramo vegetale, qui ben conservato. Dopo una prima campionatura, a causa della complessità dell’intervento e, nel contempo, la possibilità di trasportare il corpo entro il sarcofago – contrariamente a quanto avvenuto per Ebuzia, intrasportabile a causa della consistenza del manto vegetale, simile alla cenere, che la ricopriva – ha sconsigliato un intervento in loco. Pertanto il sarcofago, con il corpo di Carvilio Gemello, è stato trasportato, il giorno 5 gennaio 2001, a Tivoli, presso il laboratorio di antropologia della Soprintendenza ai beni archeologici del Lazio; contemporaneamente il sarcofago di Ebuzia (con i resti del cuscino all’interno in buone condizioni) è stato depositato presso il museo dell’abbazia di S. Nilo a Grottaferrata, che li ospiterà entrambi all’atto della esposizione definitiva.
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Altre deposizioni: resti ossei semicombusti.
Sul pavimento, tra i due sarcofagi e l’angolo della cella, sono stati rinvenuti alcuni resti ossei umani semicombusti, forse appartenenti a due diversi individui. Non rimane alcuna traccia dell’urna (o delle rispettive urne) forse eseguite con materiale deperibile.
NOTE
Una prima notizia del ritrovamento è in: F. Arietti, Il complesso archeologico di Ad Decimum, in I° incontro i studio sul tema: Tusculum, Storia, archeologia, cultura ed arte di Tuscolo e del Tuscolano, 27-28 maggio – 3 giugno 2000, a cura di Franco Arietti e Anna Pasqualini, Collana del millenario di S. Nilo, 2007, pp. 377-388; G. Ghini, M.G. Granino Cecere, M. Rubini & F. Arietti, L’ Ipogeo delle Ghirlande a Grottaferrata (Roma): una storia vissuta 2000 anni fa“, in P. Attema. A. Nijboer, A. Zifferero (curr.), Papers in Italian Archaeology; Proceedings of the 6th Conference of Italian Archaeology, Groningen April 15-17, 2003, BAR 1452, Oxford 2005, pp. 246-257. Per l’anello di Carvilio, v.:L’anello di Carvilio è stato esposto nella Mostra:Il senso del bello, Palestrina, Museo Archeologico Nazionale, 2003. Esposto e pubblicato nella Mostra: Vitrum : il vetro fra arte e scienza nel mondo romano, a cura di Marco Beretta e Giovanni Di Pasquale, Firenze Palazzo Pitti, Museo degli Argenti, 27 marzo – 31 ottobre 2004 = Le Verre dans l’Empire romain arts et sciences, Paris, Cité des sciences et de l’industrie, 31 janvier – 27 août 2006, Firenze, Giunti, 2006, p. 339 (G. Ghini). Cfr. anche G. Ghini, Carvilio: ritratto di una bellezza giovanile e E. Butini, L’anello di Carvilio da Grottaferrata, in ARRO (Periodico della Associazione regionale romana orafi), dic. 2003, pp. 17-22.